KARMA SHAPE

Ass. Culturale – Ven 06 Feb 2009

TRA L’UNO E L’ALTRO LIMITE STANNO LE CERE
di Marco Fioramanti
Tra l’uno e l’altro limite stanno le cere, sospese tra il rischio di fusione e spaccatura. In maniera analoga Daniela Mastrangelovive la sua tormentata vita di artista. La sua struttura molecolare è fluida, come quella della cera. Cambia di continuo a secondadel contatto e della temperatura degli oggetti e delle forme con cui volta per volta si viene a trovare.Da sempre attratta dall’ignoto, come Icaro vola nello spazio aperto e si diverte a giocare con le immagini – consapevole dell’equilibrio instabile e della ricerca continuadel centro – in bilico tra terra e cielo, tra acqua e fuoco, tra orizzontalità e verticalità. Abituata a sognare a occhi aperti, ama avventurarsi nel mondo in punta di piedi, di tre quarti, pur bagnandosi sempre, interamente, nel magma di ogni situazione che lastimoli e la interessi. Ma anche pronta a ritirarsi al primo agitar di foglia. Ha capito di recente che avere le ali non è soltanto per volare,ma anche semplicemente per staccarsi due dita da terra.Consapevolezza di un atteggiamento: la sottile profonda differenza che c’è tra proteggersi e difendersi, nello stare come nell’osservare. Superati i preliminari del vedere dunque,Daniela riesce oggi a trasmettere in immagini l’incantamento di quelle sensazioni.
Per fortuna l’arte non è una scienza. Di questo Daniela ha fatto tesoro al momento giusto. Dotata di un perfetto controllo – scientifico appunto – del disegno, quest’artista è manualmente capace di riprodurre qualunque cosa. Da cui ha preso il giusto distacco, prima di perdersi nella trappola e nella sfericità della bella forma. Al controllo naturale dei contorni, lei ha sostituito quello intuitivo e meccanico del processo digitale. L’occhio acuto dell’aquila, capace di visualizzare al tempo stesso la bifocalità dell’area di ricerca, è permeato in lei e le ha permesso di cambiare direzione.Da sempre appassionata all’area percettiva,Daniela è passata alla ricerca fotografica e all’esperire l’alterazione delle forme attraverso l’uso di una superficie speculare deformata.Con risultati interessanti che a mio avviso hanno agito più sulla sua sfera psichica che non su quella estetica.Un altro passo avanti dunque.Ma era ovvio che non le sarebbe bastato. Lei stessa intuiva che quell’immagine scomposta, riflessa, alterata, una volta fissatasi sul fondo
della rètina dell’osservatore, si sarebbe ricomposta all’istante nella sua forma originaria. Un viaggio di studio in India fatto di recente unito all’impatto dirompente col ‘sacro’ devono averla impressionata (così come s’impressiona una superficie fotosensibile) e avvicinata alla morbidezza dei gesti e delle forme. Forse la stessa acqua del Gange deve
aver sortito in lei lo stimolo e l’intuizione per l’utilizzo di un supporto morbido, e rigido allo stesso tempo. Ecco che, ancora una volta,Daniela Mastrangelo si sperimenta con l’eccesso, senza mai uscire dai bordi, restando “tra l’uno e l’altro limite”. Il materiale da lei scelto – la cera – opportunamente modificata nella sua composizione chimica per garantirne stabilità e interezza nel tempo, lle permetteva di sperimentare a oltranza. La cera è per me un materiale, racconta l’artista, flessibile al clima esteriore e al tatto
sensoriale simile al gusto critico della visione dell’arte contemporanea dove tutto può mutare ed essere soggettivamente interpretato. La rottura del guscio ovoidale originario, lo strappo alla regola insomma, è avvenuto. L’immagine speculare del foto-ritratto alterato, con cui l’artista era abituata a fotografare se stessa diventando soggetto&oggetto al tempo stesso, veniva ora riportata sulla cera con un processo analogo a quello dell’incisione. Lo svelamento dell’immagine avveniva ora come in una camera oscura. L’effetto analogico che l’artista tanto ama si ripeteva con le stesse modalità, pur con materiali differenti, alla luce del sole, la “camera chiara” di Barthes. L’effetto-sorpresa è notevole. Dopo la colata della cera sull’immagine che fa da cliché, nel momento in cui il foglio si separa dalla cera rigida, la raffigurazione appare improvvisamente in superficie, nella trasparenza glaciale del supporto. I soggetti di Daniela Mastrangelo non sono quelli del reporter che coglie l’attimo, lei è più un animale da tana, che resta in attesa del momento giusto per uscire allo scoperto. Il suo linguaggio espressivo spazia a tutto tondo. Comunque cambi il suo raggiod’azione, lei resta l’artefice, riconoscibile, filtro ormai consolidato tra se stessa e il mondo percepito. Passa dall’attenzione ai volti, donne vecchi bambini, come nel caso dell’India, ai paesaggi naturali fissati nelle ore più discrete, ai dialoghi intimi e delicati di una coppia meticcia, ai dettagli di gesti erotici di libere effusioni come quelli presenti in questa mostra.